sabato 13 agosto 2011

VIA DUE GIUGNO

Uno dei primi ricordi della mia vita, forse il più antico, è legato ad un mio capriccio... e ad un'ingiustizia che temevo, sbagliando, di aver subito. Ed il ricordo di quell'ingiustizia mi ha bruciato per anni, dapprima consciamente, poi nell'inconscio, finché, quando finalmente la vita me l'aveva fatta dimenticare, ho scoperto che quella volta non avevo subito un'ingiustizia... e che la zia era in perfetta buonafede e... ma andiamo con ordine.
Non riesco ovviamente a datare l'episodio che sto per narrare, ma da un paio di indizi (intanto speravo di essere portato in braccio, poi non sapevo ancora leggere, cosa che ho imparato prestissimo, molto, molto prima dell'età scolare...) direi che dovevo avere sui tre anni.
Nel ricordo indosso un golfino di lana a righe verdi e grigie fatto a maglia dalla mamma, ma forse è uno scherzo della memoria; ho sentito tanto parlare di questo mio "capo d'abbigliamento preferito" che -mi raccontano- non volevo mai togliere né cambiare e l'ho visto tante volte nelle vecchie fotografie, ahimè in bianco e nero, che forse la mia mente ha deciso che dovevo averlo indosso anche quel giorno.
Quel che è certo è che ero con una mia zia, vedova da poco, dopo una giovinezza spesa a curare un marito malato; avevamo lasciato la casa dei miei nonni materni, un antico palazzotto signorile ormai degradato e fatiscente, ridotto ad una miriade di bilocali per proletari disagiati, ignari che mille anni fa tra quelle mura, almeno così si dice, era vissuto un implacabile fustigatore dei vizi del clero, che sarebbe poi diventato uno dei più grandi papi del Medioevo col nome di Alessandro II, e stavamo andando a casa della zia, dall'altra parte del paese (all'epoca tutti lo chiamavano ancora paese ed infatti ne aveva la struttura, nonostante da un quarto di secolo fosse stato inglobato in Milano col nome di "quartiere".)
Ci eravamo incamminati lentamente, passando davanti ad una delle più belle e meno conosciute basiliche romaniche d'Italia, dedicata ai santi Apollinare ed Anselmo, chiesa stupenda, sconosciuta ai milanesi di città che non l'hanno mai vista e la citano spesso a sproposito pensandola (erroneamente) sprovvista di organo, o meglio, come dice la leggenda, con l'organo dipinto sul muro; vecchia balorda diceria che per chi come me vi è stato battezzato, dopo che sette generazioni di miei antenati vi hanno ricevuto battesimo, matrimonio e funerale, fa ridere i polli. E allora, direte voi, la vecchia imprecazione milanese... beh, quella ha tutta un'altra origine, ma ve ne parlerò un'altra volta.
Camminavamo per le viuzze strette dove l'automobile nera del dottore faticava a farsi largo tra i carretti stracolmi di fieno tirati da cavalli magri, e un motocarro rosso strapieno di mercanzie ballonzolava sul selciato facendo battere ritmicamente una trentina di paia di zoccoli appesi ad una corda da bucato clap... clap... clap... quando all'improvviso io dissi che ero stanco e che non volevo più andare avanti.
La zia cercò di prenderla sul ridere, poi si innervosì, poi tornò a blandirmi, dicendomi che ormai eravamo quasi arrivati.

"Vedi, siamo già in via Due Giugno. Dietro quell'angolo c'è la mia casa".
Come mi capitava spesso da bambino la curiosità ebbe il sopravvento sulla stanchezza o sulla voglia di far ammattire.
"Zia, perché questa via si chiama via Due Giugno?"
"Perché il Due Giugno è il giorno in cui abbiamo cacciato via il re".
"Zia, chi ha cacciato via il re?"
"Tutti gli italiani, io, il povero zio Mario, la tua mamma, il tuo papà, i nonni..."
"Zia, anch'io ho cacciato via il re?"
"No amore, tu non eri ancora nato, ma se tu fossi stato grande e se lo avessi conosciuto, anche tu avresti voluto che il re se ne andasse".
"Zia, perché avete cacciato via il re?"
"Perché non era capace di fare il re, ha messo su a comandare un uomo cattivo cattivo che voleva avere sempre ragione, e ha detto e fatto tante brutte cose e poi ci ha fatto fare la guerra e tante persone sono morte per colpa di quest'uomo cattivo e il re lo ha sempre lasciato fare e non è mai intervenuto".
"Zia, è da tanto che abbiamo cacciato via il re?"
"No, caro, saranno sei anni".
"E prima che cacciassimo via il re, come si chiamava questa via?"
Non dimenticherò mai la faccia di mia zia. Restò un attimo perplessa, poi mi rispose con un'aria che non sono mai riuscito a definire:"Ma... ora che ci penso... questa via si è sempre chiamata via Due Giugno... già da quando ero una bambina e ci passavo per andare al cimitero che adesso lo hanno spostato in via Seguro, ma allora era proprio lì sulla piazza..."
Mi è capitato tante volte nella mia infanzia di "essere trattato da bambino", cioè che mi si dicesse qualcosa di assurdo per troncare un discorso. Mi ha sempre fatto male, ma mai come quella prima volta.
Mi sentivo abbastanza grande da capire che se la via Due Giugno si chiamava così perché qualcuno in quella data aveva cacciato via il re, non poteva avere già quel nome prima che il re fosse cacciato; non sono mai stato della pasta di certi miei alunni che credono che il Preromanticismo venne chiamato così perché trent'anni dopo sarebbe nato il Romanticismo.
Rimasi in silenzio e soffrii moltissimo.
Non pensai neppure per un istante che vi fosse sotto qualcosa che io non dovevo sapere, qualche mistero riservato agli adulti, come mi sarebbe accaduto molte volte in tutta l'infanzia e l'adolescenza davanti a qualche "conto che non tornava".
Semplicemente pensai che mia zia non avesse voluto sforzare la memoria, tanto non ne valeva la pena, e che mi ritenesse tanto "bambino" da accettare una spiegazione che per me aveva il sapore dell'insulto.
Poi la vita diede a me, come a tutti gli adulti, ben altre occasioni per rimanere male ed offendersi, quindi smisi di pensarci.
Il Due Giugno 1982 il Corriere della Sera pubblicò un'intera pagina di curiosità garibaldine, in occasione del primo centenario della morte dell'Eroe dei due Mondi. L'ultima, in basso a destra, diceva "A Milano la via Due Giugno non è dedicata come molti pensano alla proclamazione della Repubblica, bensì alla ricorrenza della morte di Garibaldi".

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