venerdì 26 agosto 2011

PIAZZA CORDUSIO

Paradossalmente l'unica mia canzone che posso definire, senza paura di esagerare "famosa" è una delle canzoni che mi piacciono meno in assoluto. Sto parlando, ovviamente, di "Piazza Cordusio". Non ne amo la musica (un giro di do banale e scontatissimo, per niente originale, lontanissimo dalla genialità di certi suoi fratelli, dall'americana "Blue moon", alla "Gatta" di Paoli, a "Tous les garçons et les filles de mon age" di Françoise Hardy), così come un tantino "paolotto" mi pare il testo che oggi non riscriverei né sottoscriverei.
Eppure -e non ho mai capito come sia potuto succedere- è una canzone conosciutissima: la cantano gli scouts, la insegnano ai bambini in colonia, si trova, o almeno si trovava negli anni Settanta, sui libretti dei canti di alcune parrocchie (per esempio la S. Vincenzo di Brusuglio), è pubblicata nei più autorevoli canzonieri cattolici nella sezione "cantautori". Forse qualcuno me l'ha sentita cantare, gli è piaciuta e l'ha a sua volta insegnata agli amici, forse qualcuno a cui ho regalato la cassetta delle mie prime canzoni l'ha poi divulgata... non lo saprò mai. Qualcuno crede che sia di Claudio Chieffo, addirittura l'ho sentita attribuire a Guccini (che fantasia, ragazzi; perché non a Beethoveen, già che ci siamo?), invece l'ho scritta io.
"Piazza Cordusio" nacque, quasi per caso, verso la fine del 1970. All'epoca (ero entrato da poco nella Sede Regionale di Mani Tese) un'alluvione di incredibile violenza aveva sommerso il Pakistan e come Mani Tese ci eravamo mobilitati per inviare aiuti (fatto eccezionale e dovuto all'assoluta emergenza, in quanto normalmente eravamo contrari a mandare soldi nel Terzo Mondo, preferendo investire il denaro per favorire piccoli progetti di sviluppo: scuole professionali, ambulatori ecc. secondo il vecchio principio del "non dare il pesce agli affamati, ma insegnare loro a pescare").
I nostri gruppi lombardi ci segnalavano la disponibilità a vendere oggetti di vario tipo e devolvere il ricavato alle popolazioni alluvionate, ma, a parte qualche piccolo gruppo legato alle parrocchie, non avevano un locale dove vendere tutto il bric à brac che la gente offriva loro. L'ATM, da noi interpellata ci mise a disposizione un locale nel sottopassaggio della Metropolitana che collega Piazza Cordusio a piazza Duomo ed io diedi la mia disponibilità a trascorrere le vacanze di Natale dietro il bancone a vendere tutto il materiale che i gruppi ci portavano a ritmo incessante: servizi di caffè della nonna, vecchie bambole, ninnoli in porcellana, specchi, collane, libri usati ecc. Nessun altro se la sentì di affiancarmi con costanza, ma al massimo per una o due ore al giorno (alcuni lavoravano, altri stavano preparando esami universitari, altri ancora dovevano partire con i genitori per le vacanze di Natale). Attraverso un incessante passaparola tra gli amici e gli amici degli amici finimmo per trovare una persona estranea al movimento che accettò di condividere con me quest'avventura, una certa Katia, il cognome non l'ho mai saputo, anche perché pochi giorni dopo tornò in Inghilterra dove lavorava e da allora non ho più avuto sue notizie. Con questa ragazza alta, robusta, timidissima, qualche anno più di me, trucco vistoso, inglese splendido, trascorsi una quindicina di giorni a svolgere questa attività del tutto inconsueta e nelle ore di morta, quando nessuno entrava a comperare, facevamo lunghe chiacchierate ed il nostro discorso finiva sempre per cadere sulla fauna di giovani sbandati, sporchi, scarmigliati e male in arnese che sedevano proprio fuori dal nostro negozio a suonare la chitarra o a chiedere l'elemosina. Entrambi ne eravamo affascinati, li consideravamo "hippies", liberi e libertari per scelta, come ce li avevano presentati alcune delle canzoni più stupide in voga all'epoca. Finché un pomeriggio uno di questi giovani entrò nel negozio (credo, ma non me ne intendo ora e meno ancora me ne intendevo a quei tempi, sotto l'effetto di uno spinello o di qualche acido) e cominciò a fare dell'ironia pesante sul negozio, sul volontariato, ecc.
Io cercai di mantenermi calmo e gli dissi che avevo un grande rispetto, e magari anche una grande ammirazione per la sua scelta di vita, e che lui, da vero libertario doveva rispettare chi aveva scelto di fare una vita diversa.
Il ragazzo si appoggiò al banco e si prese la testa tra le mani.
"Scelta? Fosse per me vorrei avere una casa comoda e calda, una famiglia, un casino di soldi, ma la mia vita è sempre stata una merda: mio padre beveva, mi pestava, poi è morto. Mia madre si è messa con un altro, ma questo, oltre a pestare me, pestava anche lei. Mi hanno mandato in un orfanotrofio.... lasciamo perdere... diciamo che adesso sono qui. Quando insulto la gente che passa non è una scelta politica, è invidia. Invidia, hai capito? E le brave persone che mi passano vicino, con la loro camicia bianca, il loro Dio creato a loro immagine e somiglianza, il loro conto in banca: o pensano che questa vita me la sono scelta io, e quindi che ci sto bene, oppure distolgono lo sguardo, perché do fastidio, hai capito? noi abbiamo i capelli lunghi, siamo andati via da casa, diamo fastidio noi. Ce n' era un altro duemila anni fa che aveva i capelli lunghi... che se n'era andato di casa... che andava in giro con i suoi amici... che mangiava con le troie... anche lui dava fastidio... l'hanno fatto fuori, ma era migliore di quelli che lo hanno fatto condannare, hai capito? Voi due però siete forti".
Ci strinse la mano ed uscì senza aggiungere una parola.
La sera quando uscimmo dal sottopassaggio del metrò e sbucammo in piazza Cordusio c'era una nebbia fittissima e le poche facce che vedevamo in giro, a me davano un po' di disagio, mentre Katia era letteralmente terrorizzata, perché diceva che la mattina due o tre tipi l'avevano importunata e le avevano rivolto delle proposte oscene. Le proposi, se la cosa poteva tranquillizzarla, di camminare abbracciati, e così facemmo.
Dopo qualche passo ci trovammo davanti il capellone che era entrato nel negozio qualche ora prima.
" 'Sto pomeriggio non ti ho detto la cosa più importante" mi disse con un sorriso amaro. "Tu ce l'hai una donna che ti abbraccia. Noi alle donne gli facciamo schifo. La solitudine è la nostra peggior condanna". Tornai a casa con il cuore in tumulto e, di getto, scrissi le parole e la musica di "Canzone per Katia", poi, la mattina dopo ci ripensai e trovai che il titolo non c'entrava quasi niente con il testo ed allora optai per "Piazza Cordusio". Eppure questa canzone, che a differenza di molte altre non riesce ad emozionarmi, almeno tre belle soddisfazioni nella mia vita me le ha date.
Scena prima: Estate 1985, Sorrento. Avevo piantato la tenda in un campeggio bellissimo, verdeggiante e tranquillo, anche se un po' troppo a saliscendi per i miei gusti. Avevo, almeno per i primi giorni, un' intera terrazza solo per me, con una vista indimenticabile sull'isola di Capri. Una sera arrivò un gruppo di ragazzi torinesi, stanchi, ma così stanchi che non avevano la forza neppure di piantare la tenda. Si tolsero dalle spalle i sacchi a pelo, li srotolarono per terra, mangiarono un panino e si buttarono a dormire. Prima di addormentarsi uno dei ragazzi disse: "Ehi gente, ma lo vedete come siamo conciati? Siamo qui per terra come panni stesi al sole". Ed un altro di rimando "Eh la Madonna, cos'è, piazza Cordusio?" Il giorno dopo fraternizzammo, ma, memore di un detto in voga negli anni Sessanta: "al mare sono tutti ingegneri ed industriali" non dissi mai loro che ero l'autore della canzone che avevano citato.
Scena seconda: vigilia di Natale del 1977. Da pochi giorni nel mio palazzo avevano installato un'antenna che ci permetteva di ricevere le prime televisioni private. Attratto dalla novità stavo "navigando" tra i vari canali, quando la mia attenzione fu catturata da un'emittente che trasmetteva da Piacenza: Telelibertà. Quattro ragazzine con chitarre e batteria stavano eseguendo un repertorio di canzoni religiose con una maestria davvero entusiasmante. Ascoltai a bocca aperta "Oh happy days", "Merry, merry Christmas" di John Lennon, due o tre pezzi da "Fratello sole. sorella luna " di Zeffirelli. Conclusero il loro recital con "Piazza Cordusio" di Anonimo. Provai un groppo in gola. Fu per me il più bel regalo di Natale.
Ma la più bella soddisfazione, quella che serbo ancora nel cuore e che ogni tanto mi torna alla mente, specie quando mi sento sottovalutato in un qualsiasi campo, l'avevo avuta due anni prima, il 25 aprile 1975, trentesimo anniversario della Liberazione.
Chi mi conosce sa che nei confronti della politica ho sempre avuto un atteggiamento di distaccato scetticismo: non credo alle ricette per "la felicità del popolo"; credo che in ogni ideologia, tranne le più aberranti, ci sia qualcosa di valido, insieme a qualcosa che non mi piace; credo che ogni partito ed ogni gruppo siano costretti a scendere a compromessi, a mentire, a fare scelte discutibili ecc. Ecco perché non ho mai aderito a nessun partito politico né mai mi sono scalmanato più di tanto per i risultati elettorali: nessuno ci darà mai il paradiso in terra, nessuno, tranne una dittatura che nell'Italia di oggi non vedo all'orizzonte neppure come ipotesi accademica, ci metterà nelle condizioni di fare le valigie e di scappare in Svizzera. (*)
L'unica volta in vita mia che ho avuto un atteggiamento diverso nei confronti delle fazioni politiche fu nei primi mesi del 1975, quando un po' per il clima che si respirava di "golpe strisciante", un po' per il modo scorrettissimo in cui il governo aveva gestito i corsi abilitanti straordinari (scorrettezza denunciata solo dal "Manifesto" ed avvallata da tutti gli altri al grido di "ma cosa vogliono questi insegnanti?"), un po' per le stragi di stato e per i morti ammazzati per le strade (che brividi il funerale di Varalli letto sui quotidiani "alternativi" e quello di Zibecchi a cui, trovandomi a passare per caso da Piazza Duomo, assistetti di persona!) che rimanevano impuniti, mi ero avvicinato all'estrema sinistra cosiddetta "extraparlamentare".
Vi lascio immaginare la mia emozione quando un mio amico sacerdote missionario (che di lì a poco un infarto avrebbe prematuramente sottratto agli amici ed all'impegno sociale che erano tutta la sua vita) mi propose di esibirmi al suo paese, Cisano Bergamasco, il 25 aprile, nel corso di una serata organizzata dal Comitato Antifascista Permanente, in un recital di canti della Resistenza, facendomi balenare l'idea che, in caso di richieste di bis, avrei potuto presentare al pubblico qualche mia canzone.
Mi preparai coscienziosamente ed arrivai caricatissimo al fatidico giorno del recital. Appena giunto a Cisano Bergamasco scoprii con disappunto che la serata era organizzata non dal Comitato Antifascista Permanente, bensì dalla Democrazia Cristiana ed in particolare dal sindaco del paese (fratello del mio amico missionario).
Ormai ero lì e feci buon viso a cattivo gioco, ingoiando con un sorriso forzato questo "scherzo da prete"; con l'unica consolazione che in quel paese la DC era meno becera di quanto si potesse pensare, dato che, mi spiegarono, la serata era organizzata in ricordo del parroco del paese, massacrato il 25 aprile 1945 dai nazifascisti.
Feci un rapido sopralluogo in teatro, provai rapidamente due o tre canzoni e mi avviai ad una cena in mio onore, fischiettando tra i denti "Contessa" di Paolo Pietrangeli.
I commensali erano tutte persone di una certa età e parlavano esclusivamente di questioni e persone del posto, per cui io ero completamente tagliato fuori da ogni discorso. Accanto a me sedeva l'unica giovane presente alla cena, la figlia del sindaco, ma si si sentiva, se possibile, ancora più a disagio e "pesce fuor d'acqua" di me.
Dopo un lungo, imbarazzante silenzio le rivolsi la parola e le chiesi se le piacevano i cantautori italiani. Rispose affermativamente e per una decina di minuti ci buttammo a parlare di Vecchioni, Guccini, De André e di chissà quanti altri ancora.
Ad un certo punto la ragazza (mi pare, se non ricordo male, che si chiamasse Romana) si interruppe e disse: "A me però, più che la canzone d'autore, piacciono i canti popolari, quelli di cui nessuno conosce l'autore, quelli che nascono spontaneamente tra la gente".
"Anche a me" le dissi. "Ma se ti intendi un po' dell'argomento dovresti sapere che dal 1918 ad oggi non sono più nate canzoni popolari anonime".
"Come no? Hai mai sentito Piazza Cordusio?"
(*) Questo racconto è del 2000 e non ho voluto modificarlo, perché fotografa un preciso momento storico. Oggi i tempi sono cambiati ed io sono convinto che sia necessaria un’attenta vigilanza democratica, perché il quadro politico italiano è pieno di persone che vorrebbero restringere ancor più gli spazi di libertà, modificando e travolgendo la Costituzione. Oggi a parlare di dittatura non mi sembra di fare della fantascienza come mi sembrava undici anni fa…
PIAZZA CORDUSIO
Dormono per terra come panni stesi al sole,
sembrano vestiti di disperazione,
ti guardano passare con aria disgustata
quasi fossi tu ad aver sbagliato strada;
il bravo borghese con la camicia bianca
tutto casa e chiesa e conto aperto in banca
toglie via lo sguardo da questo mondo che non fa per lui.
Ma fermati un momento, sospendi il tuo lavoro,
rimani un po’ a parlare, son uomini anche loro,
non ti scandalizzare per i vestiti sporchi
per le barbe lunghe, per i capelli incolti:
son tutti poveracci che han perso una partita,
dev’esserci un motivo se è qui la loro vita,
chissà cosa sognavano quand’erano bambini tempo fa.
Ti parlano di crisi, infanzia disgraziata,
litigi, orfanatrofi, famiglia disgregata
offendono chi passa vedendolo integrato
in una società che niente a loro ha dato;
se vedono una donna gli si rattrista il viso,
darebbero la vita in cambio di un sorriso,
la loro solitudine è la peggior condanna che ci sia.
Ti parlano di un uomo, un altro capellone
che se ne andò di casa con dodici persone
e andava per le strade fermandosi a parlare,
levava la sua voce contro un mondo fatto male;
nel nome della pace levava la sua voce,
per questo l’hanno preso e l’hanno messo in croce
eppure era migliore di quelli che l’han fatto condannar.

3 commenti:

  1. ciao,
    io ho sentito anni fa questa canzone ma volevo averla da ascoltare e far ascoltare... come posso fare ? dove posso trovarla ? potresti metterla su youtube ???

    RispondiElimina
  2. Il verso
    "chissà cosa sognavano quand'erano bambini ..."
    vale 100 canzoni.

    RispondiElimina
  3. "Eppure -e non ho mai capito come sia potuto succedere- è una canzone conosciutissima: la cantano gli scouts, la insegnano ai bambini in colonia, si trova, o almeno si trovava negli anni Settanta, sui libretti dei canti di alcune parrocchie (per esempio la S. Vincenzo di Brusuglio), è pubblicata nei più autorevoli canzonieri cattolici nella sezione "cantautori"."

    Se ha avuto così successo, a mio modestissimo parere, forse è perchè è messa là, un po' come a far la voce della nostra coscienza, a ricordarci ciò che dovremmo fare e non facciamo, a dirci come dovrebbe comportarsi un cristiano, nel bene e nel male; credo sia questo il motivo.
    Pier Giuseppe

    RispondiElimina