venerdì 18 novembre 2011

DOMENICA 24 MARZO

Da  Ti racconto una canzone"  DOMENICA 24 MARZO

 
DOMENICA 24 MARZO

“In nome di Sua Maestà  Vittorio Emanuele III, per grazia di Dio e volontà della Nazione re d’Italia felicemente regnante, questo Tribunale Militare dichiara il soldato Bonfanti Paolo colpevole del reato di omicidio per aver assassinato il tenente Lucarelli Giovanni il 24 marzo 1918. In applicazione del Codice Militare Penale di Guerra lo condanna alla pena di morte, mediante fucilazione alla schiena. Essendo la sentenza inappellabile questo Tribunale stabilisce che l’esecuzione abbia luogo non oltre le sei ore dalla lettura della sentenza.
Soldato Bonfanti avete qualcosa da dichiarare?”

“Sì signor Generale, sì, signori Ufficiali della Corte. Ho qualcosa da dichiarare, anche se penso che nessuno di voi possa comprendere appieno quanto sto per dire. Io ho fatto parte diverse volte della scorta ad ufficiali in missione ed ho visto dove voi combattete la guerra: nei castelli, nei palazzi della nobiltà, in uffici caldi e confortevoli. Avete legna, liquori, sigari, belle donne. Io sono da tre anni in trincea: fame, freddo, sporcizia, pidocchi, piscia, merda, sangue, vomito; muoiono i nostri compagni e fino al giorno dopo non possiamo seppellirli e li vediamo gonfiarsi e putrefarsi accanto a noi. A volte anche a noi vengono distribuiti cognac e cioccolata, ma è un ben funesto dono: quando ciò accade vuol dire che siamo alla vigilia di un assalto e noi godiamo di queste leccornie col presagio, che spesso si tramuta in realtà, di avere ancora solo poche ore da vivere. Voi ed io abbiamo della guerra un’idea diversa, perché combattiamo due guerre diverse.
Voi dite che combattiamo per il re, per la patria, per l’onore d’Italia. Io non riesco a capire cosa il re o la patria abbiano a guadagnare dalla conquista di quattro palmi di terra sassosa, non fertile, praticamente disabitata. Ci dite che oltre la trincea c’è il nemico. Un mese fa abbiamo fucilato un prigioniero austriaco che, a detta del tenente Lucarelli, aveva cercato di ribellarsi e di scappare. Per la prima volta in vita mia ho visto un austriaco da vicino. Era un bel ragazzo biondo e gentile; fischiettava “Il Pipistrello” di Strauss per farsi coraggio, chiedeva una birra… io ho vent’anni come lui, amo Strauss e la birra come lui. Perché devo sentirlo come un mio nemico? Non mi ha fatto niente, non gli ho fatto niente. Se invece di essere nato in Carinzia avesse avuto la ventura di nascere nel mio cortile oggi vestiremmo la stessa divisa e non sarei tenuto ad ammazzarlo.
L’altra sera un ufficiale ci ha letto i testi degli inni nazionali di tutti gli stati nostri alleati. I francesi vanno a morire perché i nemici “vengono fin tra le nostre braccia a sgozzarci i figli e le compagne”. Prendo per buona questa definizione di “nemico” e vi dico che nessun austriaco è mai entrato in casa mia a sgozzarmi figli e compagne.  Né io intendo andare a Vienna a fare qualcosa di simile.
Mio cugino mi ha mandato dall’America un libro di poesie che laggiù va a ruba. In alcune di queste poesie si parla di una guerra scoppiata una ventina di anni fa tra Stati Uniti e Spagna per la conquista delle Filippine. Ragazzi di vent’anni mandati a morire nelle risaie ed anche lì si parla di amore per la patria e per la bandiera. Ma l’unico amore che conoscono i soldati è quello (cito a memoria) “delle puttane impestate che ci venivano dietro/ ed atti bestiali tra noi e da noi soli”. In Francia hanno giustiziato un certo Landru, perché ha ucciso tredici donne. Lo hanno chiamato mostro esecrabile… belva infame… bruto… animale indegno del nome di essere umano. Chiedo a lei, signor generale: i vostri re, i vostri capi di stato maggiore in questi tre anni di guerra hanno ucciso più persone o meno persone rispetto al signor Landru? E allora come li dobbiamo chiamare? E che pena dovremmo dare loro?
Ogni tanto ci mandate all’assalto. Usciamo dalla trincea, distruggiamo tutto quanto troviamo, lasciamo sul campo decine e decine di compagni, conquistiamo una trincea identica a quella da cui siamo usciti… poi? Nel giro di pochi giorni la stessa cosa la fa il cosiddetto nemico e si torna alle posizioni di partenza.
Senta cosa ha scritto un mio compagno di trincea di cui non conosco il nome, un giovanotto toscano con un buffo accento mezzo arabo, mezzo francese:

Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro
 
Di tanti
che mi    
corrispondevano 
non è rimasto
neppure tanto
 
Ma nel cuore
nessuna croce manca
 
E' il mio cuore
il paese più 
straziato  
                          
E allora lei capirà che io ad un certo punto non ce l’ho fatta più.  Non ne posso più di questa guerra. Domenica 24 marzo mi sono svegliato per primo. Anche al mio paese la domenica mi alzo presto per andare a caccia e sento il suono delle campane, il canto degli uccelli, il profumo della campagna. Qui la prima cosa che ho sentito è stato in lontananza il rombo del cannone e poi quell’odore nauseante di morte che da sempre impesta la trincea, ma a cui è impossibile abituarsi.. Ho detto basta. Non c’è nulla che valga la rinuncia alla mia vita, alla mia giovinezza. Quando pochi minuti dopo il tenente ha cominciato a delirare che dovevamo salutare la bandiera, amare la bandiera, dare la vita per la bandiera non ci ho visto più. Come in un sogno, o in un incubo, ho cominciato ad inveire contro di lui e gli ho scaricato addosso l’intero caricatore della mia mitraglietta. Mi sono illuso che i miei compagni mi imitassero, che si potessero massacrare una volta tanto i nostri veri nemici, quelli che ci costringono ad ammazzare e a farci ammazzare per interessi che non sono i nostri e che poi si potesse finalmente tornare a casa. Come faccio a dirle che non ne posso più di rischiare la pelle? Come faccio a dirle che ho perso completamente il mio amor proprio? Io a casa mia non ho mai avuto paura di nessuno. Una volta che un toro imbizzarrito era scappato dalla stalla l’ho fermato da solo, a mani nude. Ora non ho più dignità. I miei compagni, storditi dal cognac e dai vostri discorsi, quando mi sentono parlare mi chiamano vigliacco. Una volta questa parola mi avrebbe ferito. Ebbene non ho più vergogna neppure a sentirmi dire vigliacco dai miei compagni.  Domenica 24 marzo ho guardato il cielo; un cielo grigio, lattiginoso, senza sole. Niente a che vedere col cielo blu del mio paese. Domenica 24 marzo ho capito che si concludeva lì la mia storia. Che non avrei avuto un avvenire. Ma io spero che il mio sacrificio possa aprire la mente a tante persone e che almeno per gli altri ci possa essere un avvenire di pace e di giustizia. Vi ringrazio della pazienza con cui mi avete ascoltato. Accetterò i conforti religiosi se il cappellano mi parlerà del Vangelo e di Nostro Signore Gesù Cristo, alla cui misericordia fin d’ora mi affido. Ma se pensa di parlare di re, patria e bandiera come spesso ha fatto in trincea, allora… in questo caso… preferisco morire senza vederlo. Possano i libri di storia del futuro parlare di queste giornate tremende come dell’ultima guerra combattuta dagli uomini.
Buonanotte signori”.

NOTA STORICA Mi sono preso una piccola licenza poetica per fare un omaggio ad una grandissima personalità della nostra cultura, una donna amica da giovane di Cesare Pavese e, negli ultimi anni della sua lunga vita, di Fabrizio De André. Quando l’imputato cita ai giudici alcuni versi di Edgar Lee Masters lo fa usando la traduzione di Fernanda Pivano, uscita  25 anni dopo rispetto al periodo in cui è ambientato il racconto. Non  è una mia svista, ripeto, ma una scelta consapevole.


Domenica 24 Marzo
(Enzo Jannacci)

Domenica 24 Marzo
che mi ero svegliato prima io
di fuori cantava ancora il cannone,
di dentro per me la guerra finiva.
In pochi minuti semm giamò in trincea
cominci a vusà, me par nanca vera
partito tutto un caricatore
addosso a un tenente con la sua bandiera.
Come si fa
a dirci che me s'eri stracà
a fà, a riscià la pel
per dopu purtàla a cà,
a cà
Come si fa
a dirci che non c'ho neanche vergogna
vergogna
sentìmm dì vigliacc
anca dai me cumpagn.
Domenica 24 Marzo
che mi ero svegliato prima io
per aria nanca cinq ghei di sole
conclusosi il mio avvenire.
Questa canzone è stata incisa da Enzo Jannacci 


Nessun commento:

Posta un commento