FIUME SAND CREEK
Signore e signori buonasera a tutti. Leggo la delusione sui vostri volti. Del resto sono abituato da anni a notare quando
salgo alla ribalta un certo disappunto sul viso di chi mi ascolta. Vi aspettavate che dicessi “augh visi pallidi…” così come
vi turba il fatto che stasera io sia venuto a questa conferenza in automobile, anziché a cavallo… E anche il fatto che io
vesta come voi, che non indossi un copricapo piumato, o che non abbia il viso truccato con l’ ocra. Ma io ormai mi sono
rassegnato ad essere un cittadino americano, i miei figli si sono inseriti nella vostra società e lavorano pulendo i vetri dei
cosiddetti grattacieli. Io invece giro l’America da cinquant’anni raccontando a tutti un fatto che mi vide testimone oculare
quando avevo otto anni. Io sono uno dei pochi sopravvissuti al massacro di Sand Creek. Sì, signori, io c’ero quel
maledetto 29 novembre 1864.
Ci eravamo accampati lì, noi Cheyenne e un gruppo di Arapaho, perché così ci era stato ordinato dal governatore del
Colorado. In cambio ci era stata promessa la pace. Eravamo quasi tutti donne e bambini. I nostri guerrieri, sempre su
consiglio dei politici e dei militari, si erano spostati di qualche miglio a caccia di bisonti. Era una notte di novilunio, e noi
dormivamo tranquilli. L’unica presenza dell’uomo bianco era un dollaro d’argento caduto sul fondo del Sand Creek.
Noi bambini ci eravamo chiesti se valesse la pena di tuffarsi e prenderlo, ma non era roba nostra, inoltre non avremmo
saputo cosa farcene.
Il Sand Creek all’epoca era così limpido e cristallino che pareva che i pesci ci sguazzassero allegramente. Mio nonno
diceva che tendendo bene l’orecchio ed avendo la giusta disposizione d’animo si poteva ascoltare sul fondo il loro canto.
Nel cuore della notte alcune nostre squaw sentirono dei rumori; dapprima gridarono che si trattava di una mandria di bisonti,
ma ci volle poco a capire che stavano arrivando dei soldati. Non erano truppe regolari, erano i volontari del terzo reggimento
del Colorado, gentaglia, ubriaconi, banditi, avventurieri. Quasi tutti erano ubriachi fradici. Li comandava il colonnello
Chivington che all’epoca aveva quarantatré anni, ma ne mostrava venti: alto, freddo nella sua giacca azzurra, dello stesso
colore dei suoi occhi. Il responsabile del campo, Pentola Nera, tirò fuori una grande bandiera americana e cominciò a gridare
“non abbiate paura, non ci faranno del male, ce lo ha confermato l’altro giorno il colonnello Greenwood. L’uomo bianco ci
rispetterà sempre finché noi rispetteremo la bandiera a stelle e strisce”. L’altro responsabile del campo, Antilope Bianca, un
vecchio di settantacinque anni andò incontro alle truppe. Era uno dei pochi Cheyenne a parlare un ottimo inglese e disse ai
soldati di fermarsi. Un colpo di fucile lo fulminò. Prima di morire lo sentirono cantare il nostro canto di morte: “Niente vive a
lungo se non la terra e le montagne”.
Intanto io mi ero svegliato. I soldati che avevano circondato l’accampamento erano scesi da cavallo e sparavano su tutto
quello che si muoveva. Si accanivano anche sui morti: strappavano loro lo scalpo; a colpi di coltello gli staccavano i genitali
(seppi molti anni dopo che li usavano per farne borse per il tabacco) Mio nonno mi trascinò in una buca. Io piangevo “non
può essere vero, è un sogno, un brutto sogno” dicevo. “Sì, rispondeva mio nonno, è solo un brutto sogno”. Continuavo a
chiudere gli occhi e a riaprirli, ma l’incubo non cessava. Le donne erano a terra orribilmente sfigurate, i bambini venivano
afferrati (qualcuno già morto, qualcuno ancora vivo) e gettati nelle acque gelide del Sand Creek. Una mia cuginetta di quattro
anni si era nascosta nella sabbia, ma due soldati la scovarono. La legarono ad un carro e cominciarono su di lei un orribile
tiro a segno. In quel momento passò il colonnello Chivington. I soldati, imbarazzati, si fermarono. “Bravi ragazzi, sono fiero
di voi. Continuate a giocare- disse Chivington- ammazzate anche i neonati. Le uova di pidocchio generano pidocchi”. Ero
teso e spaventato. Dal naso mi colava sangue, ma io non ci feci caso. Mi ricordai in quel momento di un rito che mio padre
mi aveva insegnato per i momenti in cui mi fossi trovato in difficoltà. Presi l’arco e le frecce che mio nonno aveva con sé e
che ovviamente non usava e cominciai a tirare: la prima freccia verso il cielo per far respirare gli spiriti buoni… la seconda
freccia verso il vento per far sanguinare gli spiriti cattivi… la terza freccia… ma sbagliai la mira e la terza freccia cadde nel letto
del Sand Creek.
Un esercito disciplinato ed organizzato ci avrebbe massacrati tutti, ma ormai i bianchi erano troppo ubriachi, troppo eccitati,
troppo intenti a strappare genitali ai morti e ad appuntarseli sui cappelli, per cui in molti riuscimmo a nasconderci. All’alba,
in uno scenario allucinante di tende capovolte, cani e fumo, strisciando fuori dalle buche in cui ci eravamo riparati, incuranti
del sangue che si era congelato sulle nostre ferite, riuscimmo a fuggire e, guidati da Pentola Nera, con una marcia di ottanta
chilometri raggiungemmo i nostri uomini. Quella notte perdemmo poco meno di cinquecento persone; i bianchi ebbero nove
morti e trentotto feriti, tutti colpiti dal cosiddetto fuoco amico, in quanto nessuno di noi aveva sparato, sia perché non eravamo
in grado di farlo, sia, soprattutto, perché avevamo dato la nostra parola al colonnello Greenwood.
Appena ci ritrovammo, noi Cheyenne con gli Arapaho e i Sioux, pregammo gli Spiriti della prateria di aiutarci e di vendicare
l’infamia che avevamo subito. Non c’è bisogno che vi dica, perché tutti lo sapete ed è scritto nei vostri libri, che dodici anni
dopo ci fu la battaglia di Little Big Horn, dove con l’aiuto del Grande Spirito annientammo un nemico ancora più crudele e
terribile di Chivington. A proposito di Chivington: passando da quelle parti ho visto che avete dato il suo nome ad una città,
mentre in tutto il Colorado nulla ricorda il sacrificio della mia gente. Del resto è la scelta logica di una sedicente civiltà che
ha fatto violenza alla natura, ai fiumi, ai laghi, all’aria… che ha ucciso i bisonti non per mangiare come abbiamo fatto noi
per millenni, ma per il puro gusto di ucciderli. E questo lo spirito del bisonte non ve lo perdonerà mai.
La nostra vita da quel giorno è cambiata. Siamo prigionieri di riserve anguste, ma più ancora prigionieri dell’alcol e della
nostalgia di un mondo a misura d’uomo, pulito, naturale. E la vostra vita? In questi giorni sento tanto parlare di crisi, di
crollo della borsa, di azioni che valgono migliaia di dollari e che dopo pochi minuti tornano ad essere quello che erano
oggettivamente: insignificanti pezzetti di carta. Da un capo all’altro del paese che fu nostro e che voi ci avete strappato,
banche, negozi, fabbriche chiudono e la gente muore di fame. E’ capitato anche a noi, ma nessuno può dire che fosse
colpa nostra. Sarebbe fantastico se questo mondo di carbone, ferro, petrolio, città enormi, odori nauseabondi crollasse
come un castello di carte e se l’uomo potesse tornare a vivere a contatto con la natura come ha fatto per millenni.
E chissà che in futuro non sia così. Chi può conoscere i disegni del Grande Spirito? Uomo bianco ricorda quello
che ti dico: quando l’ultimo albero sarà stato abbattuto, l’ultimo fiume avvelenato, l’ultimo pesce catturato, solo allora
ti accorgerai che i soldi non si possono mangiare.
NOTA: per la documentazione storica ho utilizzato in particolare i seguenti siti:
http://www.viadelcampo.com/html/fiume_sand_creek.html
http://www.geocities.com/CapitolHill/2638/successe.htm
http://www.farwest.it
Fiume Sand Creek
(Fabrizio de André)
Si son presi il nostro cuore sotto una coperta scura
sotto una luna morta piccola dormivamo senza paura
fu un generale di vent'anni occhi turchini e giacca uguale
fu un generale di vent'anni figlio d'un temporale.
C'è un dollaro d'argento sul fondo del Sand Creek.
I nostri guerrieri troppo lontani sulla pista del bisonte
e quella musica distante diventò sempre più forte
chiusi gli occhi per tre volte, mi ritrovai ancora lì
chiesi a mio nonno è solo un sogno, mio nonno disse sì.
A volte i pesci cantano sul fondo del Sand Creek.
Sognai talmente forte che mi uscì il sangue dal naso
il lampo in un orecchio nell'altro il paradiso
le lacrime più piccole, le lacrime più grosse
quando l'albero della neve fiorì di stelle rosse.
Ora i bambini dormono nel letto del Sand Creek.
Quando il sole alzò la testa tra le spalle della notte
c'erano cani e fumo e tende capovolte
tirai una freccia in cielo per farlo respirare
tirai una freccia al vento per farlo sanguinare.
La terza freccia cercala sul fondo del Sand Creek.
Si son presi i nostri cari sotto una coperta scura
sotto una luna morta piccola dormivamo senza paura
fu un generale di vent'anni occhi turchini e giacca uguale
fu un generale di vent'anni figlio d'un temporale.
Ora i bambini dormono sul fondo del Sand Creek.
Questa canzone è stata incisa da Fabrizio De André, Mia Martini, Ligabue.
Nessun commento:
Posta un commento