venerdì 20 gennaio 2012

Da "Ti racconto una canzone"  AGNESE

                                  AGNESE

“Buon Natale anche a te, carissimo! Auguri a tutta la famiglia”. E anche questa è fatta. Se avessi il suo numero di telefono o il suo indirizzo farei gli auguri anche ad Agnese… ma… chissà perché non ce li siamo scambiati. Peccato, perché io continuo a  pensare a lei,  anche se ormai sono passati quattro mesi. Come posso definire quello che ho provato per Agnese? Amore? beh, non esageriamo… cotta? infatuazione? avventura estiva? Mah, sono tutti termini che vanno bene, basta intendersi… rispolverando vecchi ricordi di scuola parlerei di amore stilnovistico o di amore platonico. Ricordo che alle superiori noi ragazzi sghignazzavamo quando il professore spiegava questi concetti e lui, senza scomporsi, cercava di chiarire i termini della questione. “Non sto dicendo che questo sia l’amore –spiegava paziente con la sua voce impostata in diaframma- dico che è uno dei tanti tipi di sentimento possibile, anche se mi rendo conto che chiamarlo amore può essere una forzatura; oggi viviamo in una società puntata su certi valori e non su altri e difficilmente si vive questo tipo di sentimento, ma potrebbe capitare ad ognuno di noi di essere affascinati da una donna e di desiderare di stare con lei, di guardarla, di parlarle, di ascoltarla, pur senza provare un minimo di desiderio erotico”. “Sarà” dicevamo noi ridacchiando e dandoci di gomito. A me questa cosa non andava giù “o una donna ti piace o non ti piace ma se ti piace …” pensavo. Beh, quest’estate, alla tenera età di trent’anni mi sono ricreduto. Forse solo ora riesco ad elaborare chiaramente quello che ho provato durante questa vacanza, adesso che senza Agnese sono sprofondato nella tristezza più nera: prendo la chitarra e ne traggo solo accordi tristissimi, non ho voglia di vedere nessuno… voglio stare da solo a ripensare a quegli strani giorni di agosto, alle risate per strada, ai giochi da ragazzini che lei mi faceva fare, tipo che ne so… fissare un punto nel cielo e dire “è lì… si muove… è verde…” e vedere che tutti prima o poi alzavano gli occhi al cielo. Con Agnese queste cose le facevo. Ma cominciamo dal principio.
Ero in vacanza da solo a Marina di Camerota e dato il pienone di agosto il padrone dell’hotel mi aveva chiesto se non mi dispiaceva ospitare al mio tavolo un’altra persona, io avevo detto di sì e lui aveva fatto segno di avvicinarsi e di sedersi al mio tavolo ad una ragazza sui venticinque anni, alta, castana, abbronzantissima tanto che fui sul punto di chiederle se fosse mulatta. Si presentò con semplicità, mi disse di chiamarsi Agnese e di abitare in un paesino del Piemonte, me ne aveva anche detto il nome, ma io per i nomi proprio non sono portato. Era simpaticissima, una vera chiacchierona, un po’ ingenua, un po’ sprovveduta, ma dotata di un senso dell’ironia incredibile. Il nostro rapporto cominciò il giorno in cui la invitai a fare un giro in bicicletta. Pedalammo sulla statale, facemmo una breve sosta per bere qualcosa alle foci del Mingardo, passando davanti al “Ciclope” (la grotta che Virgilio descrive come la casa di Polifemo, oggi trasformata nella più grande discoteca d’Italia) le chiesi se le piaceva ballare, ma con mio grande sollievo rispose di no; poi andammo fino a Palinuro e ci fermammo sulla spiaggia. Il sole era caldissimo, ci sedemmo vicino ad un barcone rovesciato e cominciammo a parlare.
Quel giorno Agnese era più allegra del solito, mi faceva discorsi strani sulla bocca di una ragazza come lei: “sai che un tale stamattina mi ha detto che ho un bel sedere? E un altro ieri mi ha detto che le mie labbra sembrano fatte apposta per baciare”. Io non capivo se c’era dell’ingenuità o della malizia, se cercava di mandarmi un messaggio (beh no, mi era parso evidente da subito che io per lei ero solo un amico). Mi piaceva sentirla parlare, questo sì. Ora invece ripensando ai suoi discorsi sento qualcosa che mi stringe lo stomaco e non riesco a dire se sia gelosia o solo nostalgia di un cielo azzurro intensissimo, così diverso da questo cielo grigio dell’inverno milanese. Ho ripreso a bere anche se so che mi fa male, ma mi sembra che i liquori mi aiutino a dimenticare quei giorni che più passa il tempo e più pesano su di me come un’ossessione. Che incoerente che sono: mi lamento dell’aria inquinata della Lombardia,  e, nello stesso tempo, inquino il mio organismo con i superalcolici.
Ora tra le nubi filtra un raggio di sole, ma non è sufficiente a far diradare la nebbia. Stanotte non riuscivo proprio a dormire, sono uscito di casa alle cinque del mattino e mi sono messo a pedalare per le campagne della periferia. Beh c’è un motivo ovviamente: dopo quella prima gita uscimmo diverse volte in bicicletta, ma Agnese mi chiese se potevo portarla io sulla canna della mia, perché lei non amava pedalare, cosa che feci ben volentieri.
Ci alzavamo all’alba ed io la portavo in giro, lei cantava a squarciagola ed era felice. Anch’io ero felice. Mi bastava essere con lei, sentire la sua voce.
Ecco perché stamattina sto pedalando nella nebbia, per illudermi di rivivere le mie pedalate estive e, chissà, magari riprovare certe sensazioni. Ma sono solo. Sulla mia bicicletta non c’è Agnese con le sue canzoni, la sua carica umana, la sua risata cristallina, la sua voglia di vivere così contagiosa.
E’ strano: proprio ora mi viene in mente una cosa a cui in questi mesi non ho mai pensato. Siamo stati venti giorni insieme,  eravamo inseparabili, abbiamo riso, scherzato, giocato, nuotato, ma ci siamo confidati anche le cose più intime e più delicate. Posso tranquillamente affermare che le nostre anime si sono fuse una nell’altra.
Ma io Agnese non l’ho mai baciata.



Agnese
(Ivan Graziani)

Se la mia chitarra piange dolcemente
stasera non è sera di vedere gente
e i giochi nella strada che ho chiusi dentro al petto
mi voglio ricordare

Io penso ad un barcone rovesciato al sole
in un giorno in pieno agosto le biciclette in riva al mare
Agnese mi parlava e la sabbia era infuocata
ed io non so perché non l'ho dimenticata
Lei mi raccontava di quello che la gente
diceva del suo corpo con malizia ed allegria
ed io che sto provando le cose che provavo ieri
non ho capito ancora
se è gelosia se sono prigioniero
di questo cielo nero e di un ricordo che fa male
e se continuo a bere i miei liquori inquinati
è vero che quei giorni non li ho dimenticati

E' uscito un po' di sole da questo cielo nero
l'inverno cittadino sembra quasi uno straniero
Agnese dolce Agnese color di cioccolata
adesso che ci penso… io non ti ho mai baciata.
Io vado in bicicletta per sentirmi vivo
alle cinque del mattino con la nebbia nei polmoni,
ma non c’è più Agnese seduta sul manubrio
a cantar canzoni, a cantar canzoni.

Agnese dolce Agnese color di cioccolata
adesso che ci penso… io non ti ho mai baciata.

Questa canzone è stata incisa da Ivan Graziani







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