ANCHE PER TE
Buongiorno signora Maria. La gente di qui mi
ha detto così tante cose che ormai so tutto di lei, dei suoi novant’anni
portati splendidamente. So che alle cinque di mattina è già in piedi: un caffè,
un minimo di toeletta senza guardare lo specchio (la rattrista vedersi com’è
ora e ripensare alla Maria di settanta o anche solo di quarant’ani fa…) e poi,
col suo passo incerto e strascinato, via subito in chiesa a cantare le lodi del
Signore. Forse a volte tra un Padre Nostro ed un’Avemaria si distrae un attimo
e pensa alla sua vita, al mondo che ha conosciuto, così diverso dal mondo di
oggi in cui non si riconosce; ma per lei ormai mondo è sinonimo di passato. E’
“passato” la cascina in cui è nata, il borgo rurale che allora era un comune ed
ora è stato inglobato dalla grande Milano di cui è diventato un quartiere
dormitorio tutto palazzoni, cemento, droga ed extracomunitari; quando lei
nacque suo padre era in guerra, la vide per la prima volta che aveva tre anni e
già parlava, poi gli anni terribili del dopoguerra, la fame nera placata solo
da un po’ di polenta tre volte al giorno, la spagnola, gli scioperi dei
contadini, l’occupazione delle terre, il fascismo, tanto lavoro e poche
soddisfazioni, i fratelli e le sorelle a cui lei badava come una mamma, il papà
tornato malato dalla guerra, il dito da lei lasciato in una macchina (e grazie
a Dio solo un dito…) poi l’amore, il matrimonio e lo scoppio della seconda
guerra mondiale. Pochi mesi di matrimonio e suo marito si ammalò di una
malattia dal nome difficile da dire e da ricordare, ciò che lei ricorda bene,
signora Maria, è che il Giovanni aveva bisogno di mare e il comune lo mandò a
Pietra Ligure, lasciando lei ad affrontare gli anni duri della guerra e di Salò
da sola. Trovò anche modo (mi dicono) di dare una mano alla Resistenza
nascondendo in casa armi e volantini, ed una volta anche un partigiano
ricercato dalle brigate nere. Poi il dopoguerra, il ritorno della pace, ma
anche del pane e della carne; tutto sembrava nuovo, fresco, limpido, pulito,
c’era nell’aria una ventata di ottimismo, anche il suo Giovanni era guarito ed
era tornato a casa, ma una mattina svegliandosi se lo trovò morto nel letto:
infarto. E da allora cinquantacinque anni di solitudine, affrontata non con
rassegnazione ma con grinta, l’impegno nel sindacato e nel Partito Socialista,
(quello di Sandro Pertini, dei Greppi, padre e figlio, di Riccardo Lombardi e
di Lelio Basso, non quello che la fece piangere di vergogna ai tempi di
Tangentopoli!!!), la nascita di due nipoti in cui da subito vide i figli che
non aveva avuto… quante volte l’hanno sentita decantare la bellezza di lei o
l’intelligenza di lui… e intanto gli anni passavano, l’Italia si riempiva di
strade, di macchine e di elettrodomestici, la Madonnina di via Mosca che
segnava il limite estremo del paese, un monumento che era nel cuore di tutti i
suoi compaesani, anche degli atei, veniva abbattuta e al suo posto ci costruivano un
supermercato, gli studenti contestavano, l’uomo andava sulla luna, nelle strade
si tornava a sparare e lei sempre ad aiutare chiunque avesse bisogno: facendo una visita, o la
spesa, o una telefonata, a volte anche solo dicendo una buona parola. Intanto i
fratelli ed i nipoti andavano ad abitare lontano, i vecchi amici uno dopo
l’altro morivano, il mondo era sempre più differente da quello che aveva
conosciuto. Ora si sente una sopravvissuta… quasi tutti coloro che ha amato,
che hanno significato qualcosa per lei riposano nel grande cimitero suburbano
di via Seguro… a volte le sembra che Dio l’abbia dimenticata, che il suo star
qui non abbia più senso, tanto più che non riesce più a dare una mano a chi ne
ha bisogno… anzi comincia a trovare difficoltà anche ad aiutare se stessa… i
nipoti sono diventati a loro volta adulti, e poi vecchi, genitori stressati e pieni di
grattacapi che le telefonano quando si ricordano: a Natale, a Pasqua, il giorno
del compleanno… Non riesce ad orientarsi tra telefonini, computer, schede
telefoniche, carte di credito; le sue preghiere terminano sempre con
un’accorata implorazione: “Signore, prendimi con te”.
Buongiorno, Samantha (ma io so che ti chiami
Piera, Samantha è il nome di battaglia che utilizzi quando esci la sera con i
tacchi a spillo, la mini esagerata, la canottiera aderentissima, la parrucca
rossa, il trucco vistoso, la borsetta con lo scomparto per i preservativi e
quello per i soldi…) E’ dura e lunga la tua notte, povera Samantha, le
cosiddette “donne di piacere”, come ha notato Georges Brassens, di piacere non
ne provano per niente a subire il contatto con decine di bocche, mani, corpi
estranei, spesso sporchi, sudati, bavosi, violenti, egoisti, pretenziosi. E tu
devi sorridere anche se hai il magone, devi fingere non dico piacere, come le
tue colleghe più fortunate che lavorano in appartamento, ma almeno indifferenza,
mentre avresti voglia di urlare, di vomitare, di esprimere il tuo schifo ed il
tuo disgusto. Ma il momento più brutto è il mattino, quando albeggia: le strade
si svuotano, nessuno ti cerca più; un cappuccino, una brioche e te ne torni a
casa. Perché è il momento più brutto? Perché in casa c’è lui, l’uomo di cui sei
innamorata, quello che ti ha convinta a fare questa vita d’inferno. Tu entri e
lui dorme. Si sveglia solo se ti sente dire che la notte è stata sfigata ed hai
avuto pochi clienti (in questo caso balza in piedi bestemmiando e non di rado
ti prende a cazzotti o a calci), altrimenti guarda appena la mazzetta di soldi
che tu depositi sul letto e si volta dall’altra parte. E tu lo vedi bello,
forte, muscoloso… tutte le attività erotiche che sei stata costretta a fare per
tutta la notte con vecchi, maleducati, buzzurri, cafoni, scorfani, con lui
diventerebbero giochi meravigliosi, un autentico dono d’amore e magari ci
provi, ma lui sbuffa e prima di girarsi dall’altra parte ti ringhia nelle
orecchie “lasciami dormire, cazzo!”.
Buongiorno Carmen, dolce ragazza del sud con
la tua tuta da operaia, i grandi occhi scuri e l’aria sempre dimessa. Mi piace
sentirti la mattina quando svegli il tuo bambino, a volte con dolcezza, a volte
col tono un po’ isterico; però sai sempre trovare la parola giusta per i suoi
piccoli grandi problemi con la maestra o con i compagni di scuola. Ti immagino
di là del muro mentre gli prepari il caffelatte, il pane del giorno prima
(qualche volta, ma solo qualche volta, i biscotti e la marmellata o la
cioccolata), poi dalla finestra ti vedo mentre lo metti sulla canna della tua
vecchia bici da uomo (dono di un nostro vicino di casa) e lo accompagni a
scuola. Avevi quindici anni Carmen, ma allora tutti ti chiamavano ancora
Carmela, quando a casa di un’amica hai conosciuto quel tipo. Tu non sapevi
niente del mondo se non quel poco che ti avevano detto le amiche e i giornali
che leggevi dalla parrucchiera (“Grand Hotel”… “Kissme”… “Cioè”…). Ti è parso
di avere incontrato il principe azzurro,
hai creduto a tutte le balle che ti ha raccontato, hai vissuto per
qualche settimana su una nuvoletta dorata, poi quando hai scoperto di essere
incinta e glielo hai detto lui se n’è andato senza neppure un saluto. Solo
allora un’amica ti ha detto che quel tipo era sposato e padre di due figli e
che non avrebbe certo mandato a monte il suo felice ménage familiare per una
mocciosa. Hai deciso da subito che lo avresti tenuto il bambino, non hai
nemmeno voluto sentir parlare di aborto. Sei salita sul primo treno, senza
neanche dirlo ai tuoi genitori, sei venuta a Milano, hai cominciato a fare la
donna delle pulizie e continui a farlo di sera come secondo lavoro anche ora
che sei stata assunta da un’industria metalmeccanica come operaia. D’altre
parte le spese sono tante, lo stipendio è quello che è ed oggi la vita è
veramente cara, specie in una grande città. Inoltre tuo figlio già non ha il
papà, non vuoi farlo sentire troppo diverso dagli altri e qualche volta gli
concedi qualcosa che oggettivamente non ti potresti permettere. Ti osservo
spesso in ascensore, o al supermercato, o per la strada: ogni volta che un uomo
ti guarda ti irrigidisci, ti si contraggono i lineamenti del volto e giri la
testa dall’altra parte. Del resto lo scorso anno quando mi sono messo a farti
il filo ho ottenuto solo di portarti una sera a mangiare un gelato. Non
dimenticherò mai le tue parole: “Tu sei una cara persona, una persona perbene,
sei anche un bel ragazzo… ma, scusami se te lo dico, io dei maschi ho il
terrore”. Ti capisco. L’unico che hai conosciuto ti ha così devastata che non
hai più il coraggio di cominciare una nuova storia E un’altra cosa ho notato:
ogni volta che vedi passare una coppia mano nella mano o spingendo una
carrozzina o quando senti discorsi tipo “non vedo l’ora di raggiungere la mia
famiglia al mare” trattieni a stento un sospiro e gli occhi ti si riempiono di
lacrime. Nella tua vita hai commesso un solo errore, ma lo stai pagando a caro
prezzo. Deve essere terribile vivere di rimpianto.
Maria, Samantha, Carmen, donne meravigliose,
piene di coraggio, vite intrise di lacrime e di sospiri, ma si sa che il dolore
rende sensibili, grandi, buoni: sento di volervi bene. Mi accade di pensare a
voi per ore ed ore… vorrei parlare di voi, scrivere di voi, dedicarvi una
poesia, una canzone, magari solo un pensiero… Invece ho finito per dedicare la
mia vita ad una persona che le mie riflessioni non è in grado di apprezzarle. E
anch’io nei momenti di solitudine ho un sogno segreto: prendere la mia
sensibilità e farla fluttuare nel vento, finché non raggiunga “lei”,
quell’altra che anche nel vento la riconoscerebbe; l’apprezzerebbe e mi direbbe
finalmente quel sì che non mi ha mai detto.
Anche per te
(Mogol-Battisti)
Per te che è ancora notte e già prepari il tuo caffé
ti vesti senza più guardar lo specchio dietro te
che poi entri in chiesa e preghi piano
e intanto pensi al mondo ormai per te così lontano.
Per te che di mattina torni a casa tua perché
per strada più nessuno ha freddo e cerca più di te
per te che metti i soldi accanto a lui che dorme
e aggiungi ancora un po' d'amore a chi non sa che farne.
Anche per te vorrei morire ed io morir non so
anche per te darei qualcosa che non ho
e così, e così, e così
io resto qui
a darle i miei pensieri,
a darle quel che ieri
avrei affidato al vento cercando di raggiungere chi...
al vento avrebbe detto sì.
Per te che di mattina svegli il tuo bambino e poi
lo vesti e lo accompagni a scuola e al tuo lavoro vai
per te che un errore ti è costato tanto
che tremi nel guardare un uomo e vivi di rimpianto.
Anche per te vorrei morire ed io morir non so
anche per te darei qualcosa che non ho
e così, e così, e così
io resto qui
a darle i miei pensieri,
a darle quel che ieri
avrei affidato al vento cercando di raggiungere chi...
al vento avrebbe detto sì.
ti vesti senza più guardar lo specchio dietro te
che poi entri in chiesa e preghi piano
e intanto pensi al mondo ormai per te così lontano.
Per te che di mattina torni a casa tua perché
per strada più nessuno ha freddo e cerca più di te
per te che metti i soldi accanto a lui che dorme
e aggiungi ancora un po' d'amore a chi non sa che farne.
Anche per te vorrei morire ed io morir non so
anche per te darei qualcosa che non ho
e così, e così, e così
io resto qui
a darle i miei pensieri,
a darle quel che ieri
avrei affidato al vento cercando di raggiungere chi...
al vento avrebbe detto sì.
Per te che di mattina svegli il tuo bambino e poi
lo vesti e lo accompagni a scuola e al tuo lavoro vai
per te che un errore ti è costato tanto
che tremi nel guardare un uomo e vivi di rimpianto.
Anche per te vorrei morire ed io morir non so
anche per te darei qualcosa che non ho
e così, e così, e così
io resto qui
a darle i miei pensieri,
a darle quel che ieri
avrei affidato al vento cercando di raggiungere chi...
al vento avrebbe detto sì.
Questa canzone è stata incisa da Lucio
Battisti e da Silvia Salemi
Nessun commento:
Posta un commento