venerdì 23 marzo 2012

Da Ti racconto una canzone EL MUSTRU (Il mostro)


EL MUSTRU  (Il mostro)

No, no, no, non ci siamo, mi ascolti, giovanotto: ho accettato di parlarle, ma non le permetto di guardarmi con quella faccia piena di finta compassione. Riesco ancora a capire, sa, quando una persona mi prende per il culo, anche perché ormai lo fanno in troppi. Lo so che sono lo zimbello di questo ospedale, ed anche quando ero fuori, negli ultimi tempi le cose non andavano diversamente. Quindi, per favore, cambi atteggiamento o io mi faccio portare in camera. E allora, mi dirà lei, perché mi sottopongo a questa intervista? perché ci tengo che qualcuno conosca la mia storia. Non pretendo che lei creda a quanto sto per dirle (a volte non ci credo neppure io, e sono i momenti in cui davvero do ragione a tutti i discorsi che si fanno sul mio conto), ma non le permetto di burlarsi di me. Quella bottiglia di barbera che mi ha portato… io la ringrazio del pensiero, ma la può anche mettere via subito. I medici mi hanno proibito il vino. Nel bicchiere ci tengo la dentiera; a volte la guardo e mi sembra che rida. E voglia Dio che almeno lei non rida di me… Lei mi vede qui ora, inchiodato su una sedia a rotelle, dipendente in tutto e per tutto da un’infermiera; ogni tanto qualcuno viene a trovarmi, mi porta un pacco di biscotti, mi spinge lungo i corridoi da cui entra un raggio di sole che mi sembra falso, pallido e malato, come tutto in questo ospedale. E poi ci sono quelli come lei. Io ci farei la firma a morire domani, ma prima di tirare le cuoia vorrei riuscire a parlare un’ultima volta col lago, coi sassi, coi pesci per chiedere se sanno chi sono io, o meglio chi sono stato io. Chiedere se si ricordano di me.

Lei mi vede qui bianco, pallido, avvizzito, raggrinzito, con indosso un pigiama da quattro soldi, ma io un tempo ero il re dei pescatori.
Nessuno conosceva il lago meglio di me, nessuno era più abile nella pesca. Conoscevo a memoria ogni angolo di questo enorme specchio d’acqua che ho sempre considerato la mia seconda casa. Contrabbandieri, pescatori, turisti… ne avrei avute di raccontare di storie sugli altri, ma non avrei mai pensato che un’avventura così allucinante sarebbe dovuta capitare proprio a me.

Quella maledetta notte di novembre ero da solo, (il Gianni e mio figlio erano a letto con l’influenza), solo, le dicevo, con la mia barca e tutto l’occorrente per pescare. All’improvviso, saranno state le dieci, le dieci e mezzo di sera, il cielo si è squarciato, le stelle si sono spente; mi è parso che la luna precipitasse verso di me,  ho sentito un’onda terribile venire dal fondo del lago e mi sono aggrappato alla barca con due mani per non cadere in acqua.
In quel momento l’ho visto.
Aveva la forma di un’anguilla, o meglio di una biscia d’acqua, ma era grosso come uno di quei battelli da turismo che ogni giorno solcano il lago da Como a Gravedona. Aveva la bocca spalancata e sembrava voler divorare le stelle. Un mostro orribile come quelli che da bambini vedevamo nei film dell’oratorio, un mostro uscito da un tempo che non ci appartiene... eppure era lì davanti a me.
Il Pino mi ha raccontato che la mattina mi hanno trovato riverso sulla barca. Avevo gli occhi da indemoniato, parlavo da solo, continuando a ripetere quello che ora sto dicendo a lei e mi contorcevo in preda alle convulsioni, come uno di quei cagnotti che uso come trappola per i pesci.
Ha detto il Pino, e lo ripete continuamente, che gli ha fatto impressione vedere il re dei pescatori conciato a quel modo. Mi hanno portato al Sant’Anna e, dopo avermi fatto una flebo, mi hanno fatto riposare un paio d’ore, poi mi hanno dimesso. “Sindrome allucinatoria da diabete” hanno scritto sulla carta. Un modo molto fine per non darmi del rimbambito. Il diabete ce l’ho da una vita, ma non mi ha mai dato allucinazioni o visioni di nessun tipo.
Da quel giorno la mia vita è cambiata. Camminavo per le strade e la gente mi guardava, poi, appena mi sorpassavano sentivo che ridevano di me. I miei affari sulle prime sono migliorati. Tutti venivano a comprare il pesce da me, per farmi raccontare la mia storia, per divertirsi alle mie spalle, per ascoltare i vaneggiamenti di un demente. Anche i miei figli non hanno mai creduto a questa storia. Dapprima hanno avvallato la storia del diabete, poi hanno cominciato a parlare di arteriosclerosi ed infine hanno deciso di ricoverarmi qui dentro.
Il mostro ha rovinato la mia vita, ormai sono un uomo finito, ma ho un ultimo desiderio ed i miei figli hanno deciso di accontentarmi.
Ogni tanto, verso sera uno di loro, o una badante, mi viene a prendere all’ospedale e mi porta qui sul pontile da dove la sera partivo per andare a pescare. Vanno a sedersi nel bar che ha la veranda proprio davanti al pontile, così possono tenermi d’occhio, anche se non ce n’è bisogno. Mi lasciano solo, con una fiocina in mano. Io rimango lì ed aspetto… aspetto. In quei momenti sono lucido nonostante mi imbottiscano di medicine. Fisso il lago in silenzio.  Viene buio, ma io non ho paura. Aspetto che il lago si apra e che una creatura orripilante esca fuori.
Voglio che queste facce di merda che mi sbeffeggiano di continuo possano finalmente capire la verità. Voglio che tutti abbiano chiaro una volta per tutte (io per primo) se il mostro di cui tutti parlano è uscito dagli abissi del lago di Como o dalla testa di un rimbambito.
Ma è così importante conoscere la verità?
In entrambi i casi… senza di me nessuno lo avrebbe saputo.


EL MUSTRU


Parlumm mea de barbera,
nel buceer gh’è la dencéra
che la riid senza di me
e sun ché cun l’infermiera
setaa giò sö na cadréga
che la viàggia de par lee

e anca el suu nel curiduur me paar piö lüü,
el vöör parlàmm
dumandi al laagh, da la finestra,
se'l se regorda chi è che sun
per questa geent che vee a truvamm cun scià i
biscott
sun piö nagott
dumanda ai pèss, dumanda ai sàss,
che luur la sànn quel che ho vedüü

Perchè adess g’ho sö el pigiama
ma regordes che una volta
seri el re di pescaduu,
ho vedüü sguaràss el laagh,
ho vedüü quatàss el cieel
e la loena burlà giò,
l’era faa cumè un’anguila,
l’era gross cume un batèll
e’l majava tücc i stell,
una bissa incatramata,
cun la buca sbaratada
e cui öcc dell’oltrummuund...
un mustru, ma l’era mea el film de l’uratori
un mustru, vegnüü’n de un teemp che l’era piö el sò
ho vedüü el mustru, ho vedüü el mustru...

E i m’hann truvaa luungh e tiraa
cunt i öcc de indemuniaa
e che parlavi de par me

“Vardii el re di pescaduu,
stravacaa in so la sua barca,
che’l se sbatt cumè un cagnott !”

m’hann dii che el mustru l’era el diabete
per mea dimm che seri màtt
quand che passavi me salüdaven,
quand se giràvi sentirvi riid
vegniven tücc a crumpà el pèss
per ghignà un zicc o per cumpatìmm
gnanca i fiöö m’hann mai credüü
e seri el re di rembambii

Adess g’ho sö el pigiama ma sun che sura un puntiil
a specià che’l solta fö,
sunn piee de medesèn,
me parlen tücc de arterio,
ma sun che per fala fö,
te speci setaa giò cun in man dumà una frosna
e sun propi mea stremii,
facch vede a’sti tòcc de merda se te seet deent
in del laagh
o nel coo de un rembambii...
un mustru, senza i me occ el ghe sariss mai staa.

Questa canzone è stata incisa da Davide Van de Sfroos


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