venerdì 2 marzo 2012

Da Ti racconto una canzone ERA SUI QUARANT'ANNI


ERA SUI QUARANTANNI
 
 
Ho conosciuto Gualtiero Ramirez da bambino, posso dire di essere sempre stato il suo migliore, forse il suo unico amico. Per dire la prima cosa che mi viene in mente, abbiamo fatto le scuole insieme, poi per tanti anni nelle lunghe, calde estati della nostra giovinezza abbiamo lavorato come butteri alla fattoria dei Mendoza, l’ho aiutato io a mettere su quel piccolo negozio di frutta e verdura che aveva in piazza Grande, ed infine io gli ho chiesto di fare da testimone alle mie nozze con Josefa. Che tipo, ragazzi… in tutta la mia vita non ho mai conosciuto una persona così abulica,  indecisa, insicura, priva di idee proprie. Ha trascorso l’infanzia, l’adolescenza, la giovinezza e l’età adulta quasi senza accorgersene. Si poneva domande su tutto, ma non sapeva mai darsi una risposta. Dovesse comprare un cavallo, o fare un viaggio all’interno a trovare i suoi cugini, gli unici parenti che aveva, dovesse fare un esposto allo sceriffo o farsi togliere una ciste lui voleva sempre sentire il parere di qualcun altro, il mio, quello di Josefa, quello del vicino di casa, quello dell’oste da cui andavamo la sera dopo cena a prendere un bicchierino di aguardiente. Qualche volta Josefa ed io lo invitavamo a casa nostra e ci faceva tenerezza, ma anche un po’ rabbia vederlo sempre così indeciso… vino o birra? Carne scottata o ben cotta? Frutta o dolce? Ci pensava come se si trattasse di problemi serissimi, si grattava la testa, si carezzava la barba con le mani, ci fissava aggrottando le ciglia, poi guardava me o Josefa e chiedeva: “tu cosa prendi?”. E quando d’estate noi si partiva per l’altopiano… abbiamo provato a portarlo con noi, ma era una tragedia… rallentava il passo, restava indietro a pensare se avesse chiuso la porta di casa, se avesse messo in valigia il poncho, se… se… se… e finiva per perdere il treno.
Non vorrei dare l’idea che fosse un cretino, tuttaltro, era una persona molto intelligente, si rendeva conto di quanto fosse dannosa per lui questa indecisione, se ne rendeva conto, ci soffriva, ma non riusciva a cambiare. 
Vengo ora al punto più delicato del mio racconto, ma dato il mio ruolo pubblico… qui lo dico e qui lo nego, quello che sto per raccontare non voglio che si sappia in giro, anche se è la verità, ma non quella ufficiale dei libri di storia. Sto parlando del rapporto di Gualtiero Ramirez con la politica. A quei tempi il nostro paese era schiacciato dalla feroce dittatura del generale Suarez. Tutti noi che frequentavamo piazza Grande e il caffè della Stazione e il mercato fuori porta eravamo contrari alla dittatura, la criticavamo sottovoce nei caldi pomeriggi estivi sotto i portici della piazza o d’inverno quando ci si trovava a casa di Pedro a mangiare i fagioli con le cotiche. “Insurrezione armata! Rivoluzione!” erano le parole che ci piaceva ripetere tutte le volte che parlavamo della situazione politica ed economica, delle nostre libertà schiacciate e calpestate, del cipiglio orrendo dei militari, del nostro futuro. Gualtiero ci guardava, sorseggiava piano il suo bicchierino di aguardiente poi fissava il tavolo. Se qualcuno di noi gli chiedeva il suo parere restava un attimo pensieroso, poi cominciava a parlare con la sua voce un po’ tremante. “Beh anche a me la dittatura di Suarez non piace, è ovvio, ma il generale ha fatto anche delle cose positive, ha risanato il commercio, ha pacificato le regioni del sud, certo ci ha tolto la libertà, ma eravamo liberi prima del colpo di stato, quando le bande dei predoni calavano dalle montagne e ci impedivano di vivere? E poi la rivoluzione con che armi la facciamo? E che governo vogliamo instaurare? E siamo sicuri che non intervenga qualche paese confinante ad attaccarci e portarci via le regioni minerarie o lo sbocco al mare?  Io un po’ di economia me ne intendo… su molte, moltissime cose aveva ragione Marx, e però un’economia liberista garantisce sviluppo, lavoro, arricchisce i ricchi, ma in definitiva anche i poveri, che però restano sfruttati e quindi…”
“E quindi non sarai con noi il giorno della rivoluzione?” gli chiedevamo un po’ sul serio e un po’ per burla.
“Non lo so, devo pensarci” era la sua risposta.


Ricordo come fosse oggi quella mattina del 29 ottobre. Dovevamo essere le sette e mezza, le otto al massimo. Eravamo seduti al caffè io, Juan Sebastian, Paco Poblet e Gualtiero Ramirez che ci pagava da bere perché proprio quel giorno compiva quarant’anni. Eravamo lì a bere prima di cominciare una normale giornata di lavoro, quando dalla Calle Major spuntò all’improvviso un drappello di uomini armati di mitra che gridavano “Morte al tiranno! Rivoluzione! Fratelli e compagni insorgete con noi!” Le guardie repubblicane nella loro funerea divisa bruna tagliarono loro la strada e cominciarono gli scontri.
Juan Sebastian si alzò in piedi di scatto. “E no, cazzo! Siamo in tempo di vendemmia, ma sono pazzi questi qui a fare tutto questo casino proprio a fine ottobre? Io ho i miei vigneti da curare”. Paco Poblet era bianco come un cencio. “Proprio adesso che mi sono trovato una donna… io ci andrei anche coi rivoltosi, hanno ragione, è una vita che aspetto questo momento, ma…ma… ma…  Rosa Benavides mi aspetta stasera dietro i granai della fattoria dei Mendoza… una donna come Rosa io non l’ho mai vista neanche al cinema… neanche in sogno, capite?…”
Io non riuscivo a parlare. Vedevo i primi morti sulla piazza, il sangue che usciva dalle ferite, le urla degli agonizzanti… uscii dal caffè, vomitai in un angolo e corsi a rifugiarmi in casa. L’ultimo mio ricordo è Gualtiero Ramirez che cerca di trattenerci, ci guarda disorientato, ci chiede “ma chi sono quelli? Cosa vogliono? Perché sparano? Forse oggi abbiamo la possibilità di mettere in pratica le cose di cui parliamo sempre… io vado a vedere, voglio chiedere, voglio capire…” Si alzò, uscì dal bar e si diresse verso il centro della piazza. Una pallottola, non saprei dire se sparata dalle guardie o dagli insorti lo colpì in pieno petto.



Scrivo queste note seduto ad un tavolino del “Caffè Gualtiero Ramirez” in piazza Gualtiero Ramirez. Dalla vetrata del caffè posso leggere la lapide di marmo in cui a lettere d’oro noi rivoluzionari abbiamo fatto incidere parole di gratitudine.


A GUALTIERO RAMIREZ
PRIMO MARTIRE DELLA RIVOLUZIONE
ANIMATO FIN DALL’INFANZIA DA ARDENTE SPIRITO
PATRIOTTICO E RIVOLUZIONARIO
UOMO D’AZIONE RAPIDO A DECIDERE
MAI SFIORATO DAL DUBBIO
SALDO NELLE SUE CERTEZZE
VISTO SORGERE IL MOMENTO RIVOLUZIONARIO
DA LUI TANTO ATTESO
IMMEDIATO RISPOSE ALLA CHIAMATA DEL DOVERE
FINO ALL’ESTREMO SACRIFICIO.
I COMPAGNI DI LOTTA
CHE DA LUI TRASSERO PER UNA VITA
STIMOLO ED ESEMPIO
CON GRATO ANIMO POSERO
NEL LUOGO CHE LO VIDE CONSAPEVOLE IMMOLARSI
PER UN DOMANI MIGLIORE



Era sui quarant’anni

(Paolo Pietrangeli)

Era sui quarant'anni
e non se n'era accorto
tutta la vita lui stata a pensar
cosa dovesse far
"Vale la pena
vale la pena
vale la pena o no
ora lo chiedo a qualcheduno
e poi deciderò".

Si camminava in tre
restava sempre indietro
meglio la pasta od il bignè
perdeva sempre il treno.
No che non era fesso
le cose le capiva
e se ne dispiaceva
e se ne dispiaceva
ma non serviva più.

Era sui quarant'anni
e si trovò lì in mezzo
oh che gran colpi, che confusione
era la rivoluzione.
"Vale la pena
vale la pena"
gli altri dicevan no
"vale la pena
vale la pena"
e intanto lui ci andò.

Era sui quarant'anni
e non se n'era accorto
non ebbe il tempo di fiatar
che si ritrovò morto.
E tutti i suoi compagni
ch'eran sempre sicuri
ora gli fanno omaggi
e lapidi sui muri.

Gran rivoluzionario
tempra di combattente
il suo dovere ebbe
sempre presente e in mente
e si sacrificò.
"Vale la pena
vale la pena
vale la pena o no
vale la pena
vale la pena"
e intanto lui ci andò.


Questa canzone è stata incisa da Paolo Pietrangeli

 

 

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