venerdì 30 marzo 2012

QUESTO PICCOLO GRANDE AMORE

INTRODUZIONE


Quando nel 1971 uscì il 33 giri “Questo piccolo grande amore” di Claudio Baglioni io sono stato tra i primi a scoprirlo e per me è stata una scoperta emozionante. Per la prima volta un cantautore usava un disco non per metterci i suoi successi, più qualche canzone un po’ moscia, più quei due o tre pezzi che la radio non avrebbe mai trasmesso, ma per raccontare una storia con un inizio, uno sviluppo ed una fine, una storia che aveva il profumo dell’autobiografica autenticità. Già qualcosa di simile (un disco a tema) lo avevano fatto Giorgio Gaber con “Il Signor G.”,  Fabrizio de André con “La buona novella”, i New Trolls con le poesie di Mannerini in “Senza orario senza bandiera” e gli spagnoli “Aguaviva”, bravissimi, ma quasi del tutto ignorati in Italia (anni fa li sentii svillaneggiare dalla Smemoranda, insieme ad altri illustri sconosciuti per aver cantato al festival di Sanremo una canzone di Al Bano, ma gli “Aguaviva” erano ben altro…gli Aguaviva hanno messo in musica poeti del calibro di Rafael Alberti, Nazim Hikmet, Tagore, altro che Al Bano…) ma nessuno dei grandi artisti che ho appena citato era stato così realistico nel trattare, come in questo caso, un’avventura tipo di un ventenne qualunque.
Da subito “Questo piccolo grande amore” mi era parsa la trama ideale per un romanzo e da anni io progettavo di scriverlo: proprio perché il disco mi era piaciuto moltissimo, a parte la canzone furbetta che dà titolo al lavoro e che divenne famosissima, creando ahimè il mito di Baglioni cantante dell’adolescente sfigato in amore che gli sarebbe rimasta attaccata per anni costringendolo a clonare decine di pezzi identici tra loro da “Amore bello” a “Sabato pomeriggio”  da “Tu come stai” a “Solo” ecc..
Ho scritto “ahimè”: infatti già nel disco successivo c’era più mestiere, più astuzia, ma solo tre canzoni che conservavano l’autenticità del lavoro precedente: “Oh Merilù” e “Lampada Osram”, che io ho inserito in questo romanzo breve come “flashback” di avventure precedenti dei due protagonisti e la deliziosa, simpaticamente caciarona e maschilista “W l’Inghilterra” a cui non sono riuscito, e me ne dispiace, a trovare una collocazione nella mia storia.

In seguito, proprio perché il mestiere ed il calcolo discografico hanno preso il posto dell’ispirazione,  non sarei più riuscito ad apprezzare Claudio Baglioni… ma questa è un’altra storia.
 



INDICE





     1) MARZO
-         sabato: Piazza del Popolo 
                       Una faccia pulita
-         domenica: Battibecco
PRIMO FLASHBACK: (Camilla ricorda): Lampada Osram
- mercoledì Con tutto l’amore che posso
2)    APRILE Che begli amici
SECONDO FLASHBACK: (Claudio ricorda): Oh Merilù
                          Mia libertà
3)    LUGLIO La prima volta
4)    AGOSTO Quel giorno
                       Io ti prendo come mia sposa
                            Cartolina rosa
5)    SETTEMBRE  Questo piccolo grande amore
6)    OTTOBRE
     Domenica
-         Mattina  Porta Portese
-         Mezzogiorno Quanto ti voglio
-         Pomeriggio Sembra il primo giorno




1)

 

 

 

Marzo




Sabato

 

Piazza del Popolo



Nel ricordo rivivo quella mattina come una giornata di sole, serena e calda (beh…oddio… calda come può essere calda una mattina di marzo…), ma ripensandoci potrebbe benissimo non essere stato così. Sarà un caso, ma tutti i ricordi della mia giovinezza hanno come sfondo mattine luminose, col cielo terso ed una brezza deliziosa.

Quello invece di cui sono sicuro (fu la prima cosa che notai) è che a Piazza del Popolo c’erano meno turisti del solito, la manifestazione li aveva forse spaventati o dirottati su altri punti della città; in compenso, quando ci sono arrivato io verso le dieci la piazza era già piena di manifestanti: studenti universitari e delle superiori, qualche operaio, un gruppo di disoccupati. A quel tempo avevo vent’anni, un diploma di ragioniere, nessun lavoro in quanto non ero militesente e, come molti miei coetanei, ero un po’ imbranato. Sì sì, hai capito bene: imbranato. Capisco le tue obiezioni: anch’io leggevo ogni settimana sull’Espresso, gli articoli che parlavano della mia generazione: “i fratelli minori dei sessantottini… i primi ad andare in vacanza da soli, a provare l’erba, a vivere una sessualità più libera rispetto a quella dei loro padri” e tutte quelle storie lì… beh io “sociologicamente” ero forse un’eccezione, ma, pensando ai miei amici di allora, di eccezioni come me ne ricordo parecchie. Ero di sinistra, perché allora tutti i giovani erano di sinistra tranne ovviamente i fascisti; dopo la maturità avevo smesso di frequentare il collettivo della scuola e mi guardavo bene dal frequentare quello del mio quartiere. Però andavo alle manifestazioni per stare coi ragazzi della mia età: gli slogan, le canzoni, gli striscioni, i volantini, ma persino certi colori e certi odori, mi facevano star bene. Qualcosa del genere l’ho provato una decina di anni dopo, ai tempi del cosiddetto riflusso, diventando un tifoso della Roma. Chi sostiene che non abbia alcun senso impazzire per undici pallonari in mutande, ricchi e capricciosi, non ha mai provato la sensazione inebriante e consolatoria di sentirsi un tutt’uno con mille sconosciuti; antidoto potente contro la solitudine e l’anonimato a cui questa vita ci costringono: la mia gioia è la tua gioia, la mia amarezza è la tua amarezza, ci abbracciamo, anche se non ci conosciamo quando segna Falcao; ci guardiamo con gli occhi tristi e ci consoliamo a vicenda quando vince la Lazio. Io ti capisco e tu mi capisci, anche se età, censo, idee politiche ci dividono.
Quella mattina essere lì, tutti assieme, a cantare le nostre canzoni, mi dava un’allegria inesprimibile. Eravamo lì per cose importanti, ma eravamo lì anche e soprattutto (un po’ di ritegno e di indulgenza per il ragazzo che sono stato impongono alla mia penna di non scrivere “soltanto”) per sentirci bene. Era una festa, una scampagnata, una gita fuori porta.
Non ho mai saputo di preciso cosa sia successo, né nei giorni successivi, frastornato com’ero, ho voluto andare a fondo della questione. A  maggior ragione oggi a distanza di più di trent’anni non saprei dire chi all’improvviso ci abbia rovinato la festa. Gli autonomi? I fascisti? La polizia? Ricordo soltanto un urlo lancinante, prima singolo, poi collettivo, seguito da un fuggi fuggi verso le vie laterali; gente che spingeva, che correva a perdifiato, le ragazzine del Mamiani, bellissime nei loro maglioncini  colorati con le gonne lunghe a fiori, che piangevano come disperate.
Io fin da bambino ho sempre odiato la calca, gli affollamenti, la violenza. Appena mi resi conto di quello che stava succedendo cominciai a correre, via, a perdifiato, senza voltarmi indietro, cercando di evitare le strade e privilegiando i vicoli della vecchia Roma che conosco alla perfezione.




Una faccia pulita


Smisi di correre solo quando fui tanto lontano da non sentire più il frastuono della piazza. Mi ritrovai da solo in una via poco frequentata. Due negozi di alimentari, un calzolaio, un bar. Ero in un mare di sudore, per cui decisi di entrare a rilassarmi. Al barista decisamente non piacevo; mi squadrava da capo a piedi, cercando di capire se fossi un borseggiatore, un drogato… avevo il fiatone, non stavo più in piedi, nemmeno mi accorsi della ragazza che si alzò da un tavolino e mi si avvicinò.
“Scusa, hai una sigaretta? io le mie le ho finite”. Era un’adolescente bionda, esile, dai grandi occhi blu. Come molte ragazze di quel tempo non portava un filo di trucco. Vestiva in maniera semplice, una Lacoste  verde attillatissima ed una gonna bianca. La guardai divertito, poi estrassi il pacchetto delle Muratti. Ce n’era rimasta una sola, ma pazienza. Gliela porsi. “Scusa la faccia di tolla -mi disse con un improvviso senso di disagio accendendosi la sigaretta ed aspirando con voluttà- ma ne avevo una voglia pazza. A proposito, io mi chiamo Camilla. Perché non ti siedi un momento?”.
“Piacere, Claudio” sussurrai. Lo specchio del bar mi rimandò la mia immagine: avevo un’aria sconvolta. “Quando capitano questi incontri sarebbe meglio essere ben pettinati” pensai con un soldo di ironia e due di rammarico. Ordinai un panino e una coca e mi sedetti vicino a lei. Cominciammo a chiacchierare di tutto, era gentile, ironica, gradevolissima. Parlavamo a ruota libera: politica, cantautori, scuola, viaggi, animali domestici, vacanze estive… all’improvviso, di punto in bianco  mi chiese se avessi mai subito un intervento chirurgico ed io le parlai della mia appendicite.
“Hai avuto paura?” mi chiese.
“Così così” risposi, facendo la media matematica tra il ricordo della paura folle che avevo provato in ospedale e la tentazione di rispondere “io non mai ho paura di niente” accompagnando le parole con una smorfia da duro e dondolando una Muratti penzolante tra le labbra. Già, una Muratti… Peccato che non ne avessi… Pensare che lei ebbe persino la faccia tosta di chiedermi se le ricomperavo. All’improvviso balenò nitidissimo alla mia mente un fotogramma immagazzinato ma non analizzato qualche minuto prima: Camilla portava la minigonna!!! L’avevo intravista entrando al bar e me ne ero praticamente dimenticato (“Claudio stai invecchiando” mi dissi…). Per evitare di perdere altri punti con me stesso cercavo di guardarle le gambe sotto il tavolino e lei, che se ne era accorta, faceva di tutto per non farmele vedere, ma  non se la prendeva, tuttaltro: era un gioco, una schermaglia;  mi accorsi che la cosa la divertiva moltissimo. Ogni tanto invece Camilla guardava l’orologio e questo non mi faceva per niente piacere..
“Dài, Camilla, mica ti muore il gatto sei stiamo ancora un po’ qui”
“No, vedi, è che ho dei genitori che rompono… mia madre mi sta aspettando per pranzo, poi stamattina, col casino che c’è a Roma…”
Ci misi un po’ a capire a cosa alludesse. Com’era lontano il casino di Roma per me che stavo vivendo una mattinata stupenda. Quanto a lei… non ci giurerei, ma avevo la netta sensazione di piacerle.
Ad un tratto guardò di nuovo l’orologio, fece una smorfia e si alzò con decisione.
“Io vado, Claudio. Ti lascio il mio numero, se ti fa piacere chiamami. Tranquillo che mi trovi. Non esco mai.






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