Cartolina rosa
Tornai a Roma col magone. Da quella stupenda notte
d’amore a porto Infreschi era passato solo un mese. Chiamai Camilla ed uscimmo
a passeggiare per le strade di Roma. Non
mi sembrava la Camilla dei tempi passati, ma attribuii questa differenza alla
tristezza per la mia imminente partenza. Però mi stupì, e, lo confesso, mi
irritò, quando disse che non mi avrebbe accompagnato alla stazione.
“Ma stai scherzando? Perché non ci vieni?”
“Mah… così… ci saranno tutti i tuoi parenti… gli amici…
tutta gente che non conosco… sarei a disagio.”
“No, dài, Camilla, non puoi mancare in un momento del
genere”.
“A Clà, i tuoi non li conosco, i tuoi amici non mi
cagano, o peggio, mi odiano… sembra che se non esci più con loro sia colpa
mia…”
“Camilla, ci tengo veramente…”
E infatti la mattina in cui partii per il servizio
militare in stazione ci venne, ma si tenne in disparte; non si unì al chiassoso
gruppo di parenti ed amici che mi salutavano… più io cercavo di traghettarla
nel gruppo, più lei se ne tirava fuori… ora doveva fare una telefonata… ora
doveva andare in bagno… ed ogni volta si rimetteva in un angolo. Aldo, Kiko,
Gigi cercavano di tenermi allegro, mia mamma non riusciva nemmeno a parlare… io
ogni tanto mi avvicinavo a Camilla che fissava il vuoto con aria spaesata e
cercavo di farla sorridere. Era a disagio… e mi metteva a disagio. “Dài
Camilla, mica sto via vent’anni e mica vado in guerra… tra un po’ torno in
licenza”. L’altoparlante annunciò che al binario 12 era in partenza il
direttissimo ecc. ecc… Gli amici mi accompagnarono al vagone intonando “Claudio
in bici… Claudio frena… Claudio Claudio è militar”… tutti mi abbracciarono e mi
baciarono. Camilla era rimasta indietro, da sola. Mi staccai dal gruppo e mi
avvicinai a lei, cercando di farla sorridere.
“Camilla… sai come si chiama la guardia forestale russa?”
“No”
“Ivan Periboski”.
Rimase impassibile.
“E la cuoca russa”
“Che ne so, Claudio”
“La cuoca russa si chiama Galina Kocimilova”.
Negli occhi di Camilla passò un lampo d’insofferenza. Lei
stava male, certo, ma cosa pretendeva? stavo male anch’io.
L’abbracciai e posai le labbra chiuse sulle sue. Mi
scostò delicatamente, ma con fermezza; dai suoi occhi scese una lacrima e
finalmente mi rivolse la parola.
Dài, Claudio che perdi il treno”.
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