Capitolo 5
Settembre
Questo piccolo
grande amore
La prima sera in caserma fu atroce. Mi guardavo attorno:
tutto era grigio, sporco, squallido, maleodorante; vedevo facce tese, stranite,
incattivite, dovunque porgessi l’orecchio sentivo ordini urlati con voce antipatica,
scherzi cattivi, bestemmie.
Pensavo (e mi si
chiudeva lo stomaco) che per un anno avrei dovuto vivere qui dentro, mangiare
qui dentro, dormire qui dentro… e Camilla era lontana.
Sedevo su una panca con la testa bassa e gli occhi gonfi.
Avevo voglia di piangere, ma temevo gli sberleffi dei “nonni”.
Non avevo fame, non avevo sonno, le tempie mi
martellavano, mi buttai sulla branda ed appena suonò il silenzio mi sforzai di
dormire, ma invano. Mille pensieri mi ronzavano nel cervello. C’era qualcosa
che non quadrava nel rapporto tra me e Camilla, ma quel “qualcosa” mi sfuggiva.
Cercavo di capire il suo atteggiamento, davvero
sconcertante ed allora riandavo agli ultimi tempi, a quella bellissima vacanza
al mare a Marina di Camerota e ne analizzavo ogni istante, fotogramma per
fotogramma, per cercare di scoprire qualche indizio che mi aiutasse a venire a
capo del mistero.
La rivedevo con la sua maglietta bianca con disegnato al
centro un grande gabbiano azzurro… tre taglie in meno della sua, aderentissima
quindi, che lei portava senza reggiseno, poco o nulla lasciando alla mia immaginazione… la sua aria acerba quasi
da preadolescente, ma guai a dirglielo, era un aspetto di sé che non accettava
e pensare che a me piaceva da matti…, i baci in spiaggia, la voglia e la paura
di fare l’amore (all’epoca in Italia la pillola ancora non c’era e comunque
Camilla aveva solo sedici anni…) il nostro sporadico dirci “ti amo”. Ecco,
comincio ad intuire qualcosa… forse c’entra qualcosa con i miei “ti amo”… forse
io non ero molto convincente quando glielo dicevo, a lei piaceva sentirselo
dire, ed infatti mi abbracciava forte, ma ora che ci penso (come mai non me ne
sono accorto allora?)mi guardava con aria sospettosa… beh forse avrei dovuto
essere più rassicurante, ma d’altra parte non ero convinto pienamente nemmeno
io di essere innamorato… l’amore mi faceva paura…eppure quella sera in quella
branda scomoda e traballante Camilla mi mancava, capivo di aver trovato… il
grande amore… pensavo… beh non esageriamo, mi dicevo, Claudio, hai solo
vent’anni… è un po’ assurdo parlare di grande amore…beh diciamo un piccolo
grande amore. E Camilla mi mancava al punto che stavo male. Mi mancava il suo
modo buffo di camminare (l’avrei riconosciuta anche a distanza per quel suo
ciondolare un po’ scomposto…), mi mancavano le sue labbra sempre salate anche
nel momento del bacio… mi mancava il suo intercalare… “ma che frana che sei
Claudio” (anche se neppure per un istante ho mai dubitato che avesse questo
giudizio di me), mi mancavano le corse nelle notti estive, le stelle cadenti di
san Lorenzo osservate assieme mano nella mano sulla terrazza del camping
(chissà che desiderio avrà espresso quella notte, mica ha voluto dirmelo…), mi
mancavano i giochi da spiaggia, le corse, le carezze sempre più audaci, le
canzoni stonate che cantavamo a squarciagola… All’improvviso però un pensiero
mi paralizzò la mente ed il respiro e mi
colpì brutalmente come una sassata in pieno volto. Una sera, in uno di questi momenti che stavo
rievocando con dolce nostalgia, lei si era improvvisamente irrigidita e mi
aveva chiesto con una voce fattasi improvvisamente seria, con un’espressione
del volto divenuta quasi per sortilegio adulta: “Claudio, ma tu mi ami
davvero?”
“Camilla… sì… credo di sì, ma non sono sicuro, siamo
giovani, Camilla, molto giovani, ti voglio bene come ci si vuol bene alla
nostra età”.
Era rimasta in silenzio a guardare la luna, a far saltare
i sassi nell’acqua, a farsi carezzare i suoi lunghi capelli biondi dalla brezza
marina… il suo viso però esprimeva una sofferenza che non avrei mai immaginato.
“Che c’è, Camilla” le avevo chiesto.
“Niente, Claudio, sono un po’ stanca, io torno in
bungalow”.
Ero arrivato al cuore del problema, ma c’ero arrivato con
un mese di ritardo. All’improvviso la branda, la stanza, la caserma mi parvero
soffocanti. Mi mancava il respiro, stavo male, male davvero. Scoppiai a
piangere senza ritegno e so solo io quanto piansi quella notte. “Camilla mi
manchi” –singhiozzavo- mi manca da morire questo piccolo grande amore”. Ah se
solo potessi tornare indietro, mi comporterei diversamente, ora sì che saprei
cosa dire, cosa fare… ma non tutto è perduto. Adesso che ho capito dove ho
sbagliato il problema è per metà risolto. “Ti amo, Camilla -sussurrai senza
sentirmi ridicolo- lascia che mi diano
la prima licenza e vedrai che cambia tutto”.
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